Capitolo Extra di Fino alla Fine del Mondo
CATERINA
Soundtrack: Sorry – Aquilo
Helium – Sia
Faccio un respiro profondo e faccio scorrere le dita all’altezza del numero di Julian. Trattengo il fiato per quella che mi sembra un’eternità, mentre la linea suona libera e nessuno risponde. Attacco al quinto squillo.
Sono passate poco più di quarantotto ore da quando ci siamo visti nel corridoio dell’hotel di Daytona Beach, al matrimonio di Abby e Kris. Quarantotto ore durante le quali non mi sono staccata un secondo da Ben.
Il telefono mi squilla fra le mani e balzo in avanti. Non appena il viso dolce di Julian inizia a lampeggiare sul display, mi si stringe il petto. Una morsa fortissima che mi fa mancare l’aria nei polmoni. Esito un paio di secondi, dopodiché faccio l’unica cosa giusta: rispondo.
«Ciao», esordisco, cercando di non sembrare troppo allegra e allo stesso tempo troppo mortificata. Non credo di riuscirci perché lui, dall’altra parte, rimane in silenzio. «Mi dispiace disturbarti, ma avrei bisogno di parlarti e di vederti».
Ancora silenzio.
Okay!
«Parlarmi di cosa, Caty?». Il suo tono è glaciale e stringo forte gli occhi nel vano tentativo di non farmi condizionare più del dovuto.
«Di quello che è successo… e vorrei ridarti le chiavi di casa tua».
«Ah ecco, ridarmi le chiavi», lo sento lasciarsi andare a una risatina ironica. «Sono fuori città, tornerò sabato mattina».
Fuori città? Non è tornato a Toronto dopo essere ripartito dalla Florida?
«Okay, allora dimmi tu quando sei disponibile». Fino a qualche settimana fa dividevo il letto con quest’uomo, adesso a malapena ne riconosco il suono della voce.
«Puoi passare sabato pomeriggio da me, così potrai recuperare le tue cose. Immagino sia anche per quello che mi chiami. Non credo tu abbia davvero altro da aggiungere, quindi non preoccuparti, ti farò trovare la scatola pronta».
«Mi dispiace», dico a bassa voce.
«Faccio fatica a crederti», replica stizzito, poi attacca.
Questo schifo di giornata non poteva che chiudersi in questo modo: prima il pianto di Amanda quando le ho comunicato che avrei consegnato le dimissioni, poi i singhiozzi isterici delle M&M’s, infine lo sguardo severo di Luis Jackson, come se sapesse già perché ero nel suo ufficio alle nove di mattina con la coda fra le gambe e il viso tirato.
E poi Julian: la mazzata finale.
Ci ho messo due ore, quarantacinque minuti e una manciata di secondi a trovare il coraggio necessario per chiamarlo.
Il mio cellulare vibra di nuovo e quando leggo il nome di Ben sospiro di sollievo.
«Sarai felice di sapere che Julian è fuori città e tornerà sabato», esordisco io. L’idea che debba rivederlo proprio non gli va giù.
«Davvero?».
«Già, mi ha detto di andare da lui sabato pomeriggio».
«Okay», replica e poi prova a cambiare discorso. «Fa caldo da te?»
Scuoto la testa. «Sputa il rospo, Carter».
«Di che parli?», domanda con finto tono ingenuo. Come se non lo conoscessi.
«È tutto il giorno che fai il diavolo a quattro perché devo incontrarmi con Julian e ora mi liquidi con un “okay”. Non me la bevo».
«Mi hai dato dell’immaturo cinque volte fra ieri e oggi per questa storia. Ora che mi sto comportando come una persona normale e non gelosa non ti va bene?»
«Ben!», lo avverto io.
«Okay, okay! Ho preso un biglietto aereo per venire a Toronto nel fine settimana, va bene? Volevo che fosse una sorpresa. Arriverò venerdì sera e onestamente sapere che ci sarò anch’io quando incontrerai Julian mi fa stare più tranquillo».
Il sorriso a trentadue denti mi esplode sul viso e devo mordermi forte la lingua per non scoppiare a ridere di gioia. «Quindi stai venendo a controllarmi?», dico io, per provocarlo, anche se so che non è così.
«Certo che no! Vengo solo per farti compagnia, e comunque, sai com’è, non ho più molto da fare il fine settimana», trattiene la risata e io alzo lo sguardo verso il cielo.
Anche tu mi manchi da morire.
«Ben…».
«Sì?».
«Non verrai con me sabato», mi preparo all’ennesima scenata di gelosia.
«Staremo a vedere».
***
«Ti prego, entra in quel caffee e aspettami lì», gesticolo furiosamente, mi sta esasperando. Da quando in qua è diventato così insicuro? Il suo lato ingegnere-nerd sta prendendo il sopravvento su musicista-strafigo ed è preoccupante.
«Non posso semplicemente rimanere nell’atrio? Mi metto su uno di quei divanetti e ti aspetto. Non pretendo mica di salire su casa di Julian con te!». Alzo entrambe le sopracciglia e sposto la testa di lato. «Giuro», conclude lui portandosi la mano destra sul cuore.
Non replico, rimango solo a fissarlo finché non sbuffa, si gira e si dirige verso il piccolo e intimo bar dall’altra parte della strada rispetto al palazzo di Julian. Quello dove abbiamo fatto colazione tutte le domeniche mattine per più di sei mesi.
Aspetto che sia effettivamente dentro per poi varcare la soglia dell’elegante ingresso. Mi viene la pelle d’oca e non per colpa dell’aria condizionata sempre troppo alta. Sono entrata qui dentro così tante volte in quest’ultimo anno e mezzo che mi sembra impossibile doverlo fare per l’ultima volta.
Fisso gli ascensori domandandomi se sia il caso di farmi annunciare o semplicemente salire all’ultimo piano.
«Miss Caty», mi chiama il portiere. Mi rendo conto di non averlo nemmeno salutato appena entrata, troppo impegnata a tenere a bada il nervoso, le mani che tremano furiosamente e il cuore in gola.
«Buon pomeriggio, Vincent», mi avvicino a lui e sfodero il mio miglior sorriso. «Sono qui per vedere il signor Steinfield».
«L’avvocato non c’è», mi informa, uno sguardo strano e mortificato dipinto in viso. «Mi ha detto che sarebbe passata. Ha lascio questo per lei».
Tira fuori da sotto il bancone uno scatolone marrone e sento il mio cuore sprofondare. Mille emozioni mi frullano in testa: mi sento mortificata, sollevata, offesa e grata allo stesso tempo.
Sorrido al portiere e afferro lo scatolone. «Dovrei lasciargli un mazzo di chiavi. Ha avuto indicazioni specifiche al riguardo?». Non credo di essermi mai sentita così piccola.
«Ha chiesto di lasciarle a me. Forse ha avuto un impegno improvviso», improvvisa lui, nel misero tentativo di tirarmi su il morale e farmi sentire meno stupida. Annuisco e decido di mettermi seduta su uno dei divani nell’atrio, portandomi dietro la scatola.
Sollevo il coperchio e ne fisso il contenuto. Magliette, uno spazzolino, creme, shampoo, balsamo. Delle foto persino. Non mi aspetto un comportamento così da Julian, dare un taglio netto non è nel suo stile. Non se penso che si è trascinato dietro il suo matrimonio finito per anni. Senza contare la nostra storia: anche quando era palese che qualcosa non quadrasse, ha sempre nascosto la testa sotto la sabbia. Immagino che mi odi così tanto da non voler avere più niente a che fare con me.
La mia attenzione viene catturata da una busta da lettere con l’intestazione del suo studio. Non c’è il mio nome sopra ed è aperta. Estraggo il foglio di carta e la sua calligrafia ordinata mi fa sorridere. È l’unico uomo al mondo che mi abbia mai scritto non una, ma due lettere. Esito alcuni secondi e poi la leggo.
Cara Caty,
so che non è molto maturo il mio atteggiamento, ma non ce la faccio a incontrarti. Non è da me non affrontare le questioni a viso scoperto e nascondermi dietro una lettera, ma con te tutto assume una dimensione diversa. Probabilmente perché non sono mai riuscito a farti capire la profondità dei miei sentimenti. Non sarebbe cambiato molto, adesso lo so, il tuo cuore non è mai stato mio e prima o poi te ne saresti andata comunque. È difficile da accettare, ma è la verità. Per me, anche se non ci credi, non sei stata un rimpiazzo. Non ho scelto te perché non potevo più avere mia moglie, ho scelto te perché mi hai spalancato gli occhi come mai nessuno era riuscito a fare prima.
Vorrei avercela a morte con te, vorrei alzare la voce e sbatterti in faccia tutta la mia frustrazione, ma non servirebbe a molto. Appartieni a un’altra persona e, nonostante tutto, ti auguro di essere felice e di vivere la vita che hai sempre sognato. Non accontentarti mai, promettimelo. Ho visto più lati di te in questo mese che nell’ultimo anno e mezzo e, se possibile, ti ho amata un po’ di più per questo. Non farti mettere più in gabbia, da nessuno. Sei troppo speciale per vivere a metà. Non dovrei farti tutti questi complimenti e non pensare che non sia arrabbiato con te o non mi senta profondamente tradito ma, mi conosci, la parte più razionale del mio carattere prende sempre il sopravvento.
Buona fortuna Caty, non ti dimenticherò mai… mi sono tenuto un paio di fotografie, così, perché non sono ancora pronto a lasciarti andare del tutto.
Con affetto,
Julian
(Lascia pure le chiavi in portineria)
Ripiego la lettera e faccio un respiro profondo, scuotendo la testa. I miei sensi di colpa rischiano di schiacciarmi del tutto. Anche quando ho torto marcio, lui ha sufficiente classe per entrambi. Mi alzo e chiedo a Vincent un foglio di carta e una penna. Mi consegna un post-it giallo dicendomi che ha solo quello. Avrei un milione di cose da dirgli e guardo quel quadratino otto per otto fissarmi a mo’ di sfida.
Caro Julian,
Non ti dimenticherò mai nemmeno io. Grazie, perché anche adesso, nel momento in cui mi meriterei solo la tua delusione e collera, riesci a farmi uscire pulita da una storia che non mi sono mai meritata.
Ti voglio bene,
Caterina.
Volto il biglietto e scrivo il resto:
Ho lasciato le chiavi a Vincent e dentro la busta troverai un assegno con i soldi del master. So che non li vuoi, ma è giusto così. Grazie per aver permesso a un mio piccolo sogno di avverarsi.
Tiro fuori l’assegno dal portafogli e lo sistemo nella busta bianca con lo stemma del suo studio insieme al post-it. La sua lettera, invece, la ripiego con cura e la infilo in borsa.
Sigillo il portalettere e, con ritrovata tranquillità, mi avvicino al portiere. Gli consegno le chiavi, la busta e la sua penna.
«Grazie, Vincent».
«Buona fortuna Ms. Caty».
Poi saluto questo edificio per l’ultima volta.
BENJAMIN
Entro nella caffetteria, ma tengo d’occhio l’entrata del palazzo. Questo senso di impotenza mi disintegra. Sapere che sta entrando a casa di Julian da sola non mi piace. Non mi fido.
Ordino un caffè lungo e mi siedo in un minuscolo tavolino davanti alla vetrata.
So che non le farebbe mai del male, ma non riesco a non pensare a come l’ha aggredita una settimana fa, a come stesse perdendo il controllo. Scuoto la testa e controllo di nuovo l’orologio sul display. Se non arriverà entro diciotto minuti andrò a riprendermela.
La sedia accanto a me si sposta rumorosamente e quando alzo lo sguardo rimango letteralmente senza parole.
Gli faccio cenno di sedersi e lui annuisce. Julian poggia il suo bicchiere di cartone sul tavolino e fissa l’entrata del suo palazzo.
«Pensavo avessi un appuntamento», dico io dopo un paio di minuti di silenzio imbarazzante.
«Ho pensato che sarebbe stato meglio saltare». Sorseggia il suo caffè e rimaniamo in silenzio ancora un po’, tutti e due con lo sguardo fisso sulla strada. «Ti ha spedito qui dentro, eh!». Non è una domanda e sorride sotto i baffi. «Quando inizia a gesticolare in quel modo è davvero impossibile farle cambiare idea».
Mi volto a guardarlo, ma lui non fa altrettanto.
«Già», replico solo. «Perché non sei da lei?».
«Oh andiamo, sai meglio di me cosa si prova a perdere Caty, mi è bastato dirle addio una settimana fa». Lo so fin troppo bene, io ho dovuto dirle addio tre volte. «Le ho lasciato una scatola in portineria con le sue cose, sarà fuori a minuti».
Il suo tono provato mi provoca una morsa al petto, una solidarietà che non avevo mai provato per nessuno.
«Non pensare che per lei non sia altrettanto penoso. Sei mesi fa, a New York, quando l’ho vista con te, pensavo di averla persa, ho creduto che fosse finita sul serio».
Scuote la testa e ridacchia. «E allora siete due sciocchi! Solo io avevo capito che l’unico spacciato era il sottoscritto?».
Ridacchio anch’io e poi la vedo uscire dalle porte a vetri con una grossa scatola in mano.
«Eccola», esclama Julian, improvvisamente teso e nervoso.
Mi alzo e lascio sul tavolino la mia bibita. «Non le dirò che sei qui».
«Te ne sono grato».
Tendo la mano verso di lui e l’affetta saldamente.
«Trattala bene».
«Buona fortuna Julian». Annuisce e ritrae la mano infilandosela in tasca.
Un secondo prima di uscire dal locale mi volto a guardarlo ma lui è concentrato su Cat, un leggero sorriso sulle labbra. Attraverso la strada quasi correndo e le vado incontro.
«Julian non c’era, mi ha lasciato questa». Annuisco in direzione della scatola.
«Andiamo a casa Blondie, ripartiamo da qui».
Non l’abbraccio e non la bacio, so che Julian ci sta osservando. D’altronde, io e lei, abbiamo tutto il tempo del mondo.
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